Catanzaro, il Partito Democratico e l’usato sicuro (di perdere)

partitodemocratico16aprdi Claudio Cordova - Dopo aver consegnato o riconsegnato al centrodestra alcune tra le città più importanti della Calabria (Cosenza, Crotone, Vibo Valentia, Lamezia Terme), e aver straperso, nelle ultime ore, il ballottaggio nel capoluogo di regione, Catanzaro, cos'altro debba accadere per indurre il Partito Democratico a sbarazzarsi della fallimentare guida del segretario regionale Ernesto Magorno, ancora sfugge.

Il Partito Democratico calabrese ha avuto l'ennesima occasione per rinnovarsi, per scrollarsi di dosso quell'aura da Democrazia Cristiana, per scrostare quelle scaglie di nomenclatura stantie e perdenti. L'ha persa, come sempre.

E con l'occasione, ha perso, sonoramente, anche le elezioni a Catanzaro.

Già il dato del primo turno aveva consegnato un risultato piuttosto chiaro: Sergio Abramo, sindaco uscente del centrodestra, era di gran lunga avanti rispetto al rivale del Partito Democratico, quell'Enzo Ciconte, consigliere regionale, che nelle prime ore dello scorso 11 giugno ha anche temuto fortemente di essere escluso persino dal ballottaggio quando i primi dati davano davanti il candidato indipendente Nicola Fiorita, sostenuto da alcune liste civiche.

Già, Nicola Fiorita.

L'occasione di rinnovarsi e di puntare nuovamente al contatto con la gente a scapito del contatto con i centri di potere, il Pd l'ha avuta proprio con lui. Giovane docente universitario, sganciato dalle segreterie di partito e di chiara matrice di sinistra, Fiorita è riuscito, nel giro di alcuni mesi, a coagulare attorno a sé un consenso civico sincero ed entusiasmante: tanti gli uomini, tante le donne, di sinistra, ma non solo, che hanno creduto nel progetto politico di Fiorita, portandolo a un eccellente 23% circa. Perché l'elettorato di sinistra, ma non solo, vedeva in lui qualcosa di veramente pulito e nuovo, qualcosa che incarnasse alcuni dei valori cardine della politica: il civismo, l'ambientalismo, la solidarietà sociale. Il Partito Democratico, già nei mesi antecedenti alla vera campagna elettorale, avrebbe dovuto fiutare la volontà della gente, avrebbe dovuto tornare a essere un vero partito di sinistra, sostenendo un candidato che per ampie fette della popolazione aveva riacceso l'entusiasmo e la voglia di partecipare.

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Invece ha percorso la medesima strada, già dimostratasi perdente a Cosenza.

Lì, il centrosinistra e il Pd hanno agitato spettri di illegalità sul conto del sindaco uscente (anch'egli di Forza Italia), Mario Occhiuto. Un clima da caccia alle streghe, in cui sembrava che di lì a poche ore dovesse arrivare una maxi retata che avrebbe raso al suolo il comune. Lì l'agnello sacrificale è stato un altro consigliere regionale, Carlo Guccione. Il risultato è che a Cosenza Occhiuto ha stravinto e da allora governa la città. A Catanzaro, si è puntato su un altro usato sicuro (di perdere), il consigliere regionale Enzo Ciconte.

Non c'è mai stata partita.

Al ballottaggio si è andati solo per la splendida affermazione di Fiorita, altrimenti, già al primo turno, Abramo avrebbe stravinto probabilmente con numeri simili a quelli del ballottaggio (quasi il 65% delle preferenze). Del resto, già al primo turno, si era potuto notare come il voto disgiunto avesse dato serie indicazioni sul gradimento dei catanzaresi nei confronti di Ciconte, che si assestava ben 14 punti sotto le proprie liste. Ha insistito sulla nomenclatura, il Pd di Magorno (e quindi di Renzi). Su Fiorita, che proseguiva la propria strada fatta di idee, di proposte, di contatto con la gente, ha anche sganciato qualche bomba a orologeria a mezzo stampa.

Poi il preoccupante risultato dell'11 giugno.

E lì, l'apice dello squallore. Dopo non aver creduto nel progetto, Ciconte e il Partito Democratico si sono appellati a Fiorita e al suo elettorato, chiedendo che quel 23% venisse totalmente travasato al ballottaggio del 25 giugno. Miopia politica, stupidità o malafede. Era ed è evidente che quel voto per Fiorita fosse sì un voto di contrasto ai cinque anni di Amministrazione Abramo, ma, con eguale forza, anche un voto di rottura rispetto a un Partito Democratico e un centrosinistra che non fanno la sinistra da tempo immemore ormai.

Non è un caso, che gli oppositori più accesi del Pd renziano siano proprio quei gruppi di sinistra che vedono nei Democratici una brutta copia della DC da Prima Repubblica. E così, non solo può esultare Abramo, ma può ringalluzzirsi anche il centrodestra, può gridare alla rinascita Forza Italia. Il voto di Catanzaro gonfia la reale consistenza di Forza Italia e del centrodestra in Calabria, ma al netto delle fallimentari scelte elettorali del Pd, la debacle di Ciconte è un chiaro messaggio alla maggioranza regionale di Mario Oliverio, che, aa distanza di quasi tre anni dall'elezione, continua a raccogliere ciò che ha seminato e sta seminando: il nulla. E allora Forza Italia può alzare la testa. Gioco facile a nascondere, per il momento, le tante gravi questioni interne a quell'area politica, passeggiando amabilmente sulle macerie del Partito Democratico e sull'ennesima prova di inesistenza del Movimento 5 Stelle in Calabria.