Logge, liturgie e lucro: la ‘ndrangheta “mappata” da Badolati

Il recente volume del giornalista Arcangelo Badolati, "Santisti & 'Ndrine. Narcos, massoni deviati e killer a contratto", edito per i tipi di Pellegrini (Cosenza, 2018), è un compendio aggiornato e articolato degli studi e degli scritti che l'Autore ha dedicato negli ultimi decenni alla criminalità di origine calabrese.

Il volume offre uno spaccato prezioso per comprendere la mutazione fenomelogica della mafia imprenditrice nel nostro Paese, un attore sociale talmente forte che in ambiti mano a mano più ampi se ne dà (e non da oggi) per certa, acquisita e finanche non sostituibile la presenza.

Gli spunti ricostruttivi utili al giurista forense e all'antropologo di simboli, riti e religioni, sono numerosi, perché Badolati si misura con una mole importante di atti giudiziari, attraverso i quali scandaglia profili di quella ritualità coesiva che è contemporaneamente base e indice della 'ndrangheta, oltre che motivo, verosimilmente, della sua sostanziale alterità e attuale prevalenza rispetto ad altre forme di criminalità nazionale e internazionale.

Validi nel volume alcuni snodi tematici per i quali l'Autore non si propone di fornire soluzioni, semmai preferendo indicare ipotesi ricostruttive, questioni di metodo d'analisi e fruttuose prospettive di ricerca (che ancora una volta potrebbe essere utile al giurista e all'antropologo inglobare nel proprio sguardo).

Come suggerisce l'opera sin dalla sua titolazione, un tema significativo è rappresentato dalla presenza di mafiosi calabresi nelle logge deviate, all'ombra delle quali creare camere di compensazione, all'interno delle quali i confini tra il potere criminale, il potere economico e quello politico sfumano fino a trasformarsi in una magmatica e vorace costellazione di interessi.

Bene Badolati fa a rimarcare che il fenomeno non ha interessato tutte le forme di massoneria in Italia, ma è parimenti vero che la cointeressenza tra la mafia e la massoneria deviata alberga come un cancro nella realtà sociale italiana da decenni, inascoltato anche da agenzie di formazione come sono stati i partiti, le chiese, le forme locali dell'associazionismo.

Si sono incontrate una mole inesauribile di denaro liquido e il brogliaccio finanziario e istituzionale necessario a sbiancare (e ad accrescere) qualunque capitale. Da quell'incontro sono venute fuori – quando è servito, quando i piani hanno funzionato: non sempre, non mai, non raramente – sentenze propizie, nomine in consigli d'amministrazione, appalti e manipolazione strumentale di interessi pubblici.

La cementificazione del potere criminale non avviene in natura, se non è sobillata da fattori precisi di disagio e disparità sociale: gli 'ndranghetisti c'erano quando le comunità italiane pativano la polizia e la povertà nelle metropoli novecentesche degli Stati Uniti, in porti e fondi della lontanissima Australia, nella produttiva economia canadese. E c'erano quando il regime fascista garantì per vent'anni un sistema fondiario e parassitario della rendita e della manodopera (in ciò, invero, non del tutto sanato dalle istituzioni repubblicane che pagarono con la moneta dell'assistenzialismo clientelare il bisogno di consenso e condiscendenza).

Scorrendo le pagine di Badolati, si assiste a una efficace carrellata di episodi e fasi che descrivono in modo opportuno lo svolgimento della criminalità 'ndranghetistica per oltre un secolo – e con maggiore attenzione e preoccupazione nelle condizioni attuali. Tutte però scandiscono un chiaro mutamento di supremazia: nel rapporto con la mafia, dai tempi in cui le famiglie calabresi "servivano" il contrabbando di sigarette a direzione siciliana all'attuale prevalenza nell'approvvigionamento dello stupefacente; nella penetrazione nell'economia lombarda e settentrionale, da banditi immersi nella coltre grigia dei flussi migratori a manager che spostano voti, movimentano terre e costruiscono residence; nella strategia e nella gestione del narcotraffico, dove i cartelli 'ndranghetistici hanno prodotto una diffusione di scala delle materie prime su tutti i mercati, spesso in perfetta joint-venture con gli omologhi latino-americani.

In ultimo, nella sezione conclusiva del volume, Badolati propone una interessante e nutrita appendice rituale di quei codici e di quelle malsane liturgie che hanno creato un "ordinamento nell'ordinamento", un "ordinamento sopra ogni ordinamento", nella presenza mafiosa in Calabria: una normatività interna che si proietta sul controllo dell'esterno, con grande effettività, come preconizzavano lo scrittore Corrado Alvaro e il giurista Santi Romano. Liturgie che chiamano a raccolta immaginari datati e vivissimi, ricostruzioni agiografiche probabilmente mai esistite e pure immediatamente reali, meccanismi mentali mutuati dalla ortoprassi delle fedi e trasformatisi in un cupo e vittorioso settarismo predatorio.

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Se Badolati continuerà a seguire con tanta attenzione il carnet imprenditoriale di questi mondi, i prossimi volumi ci parleranno, ancora e più, di reati ambientali, di ruolo supplente delle donne nei periodi di indisponibilità di "patriarchi" e "reggenti", delle forme aggregative della religiosità simbolica (inchini, processioni, costituzioni di comitati di festeggiamenti e confraternite) e di strumentalizzazione politico-amministrativa del fenomeno criminale. Il peccato originale è (sempre stato?) tutto lì.

Domenico Bilotti - docente di Diritto e Religioni presso l'Università Magna Graecia di Catanzaro