Il caso Palamara e il dovere di raccontare

frasemontanellidi Claudio Cordova - "Un uomo fa ciò che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana". In questi giorni di intenso lavoro per me sulle conversazioni captate sul telefono del magistrato Luca Palamara, un amico, una persona che stimo e a cui voglio bene, mi ha inviato questo sms con la celebre citazione di John Fitzgerald Kennedy.

Questo pensiero ha accompagnato le mie letture, la mia scrittura e, in mezzo, i miei pensieri, i miei timori.

Quel pensiero mi ha consentito di continuare a svolgere un lavoro che mi è costato e, probabilmente, mi costerà. Un lavoro che dovevo a me stesso e ai lettori. Negli anni della mia attività giornalistica ho cercato sempre di trattare con umanità, ma, allo stesso tempo, con fermezza, ogni tipo di categoria abbia dovuto raccontare: politici, imprenditori, professionisti, preti, anche 'ndranghetisti veri o presunti. Non potevo esimermi, non potevo bloccarmi, davanti alla magistratura perché non avrei onorato quello che è il principio stesso del Giornalismo.

Raccontare.

L'ho fatto in solitaria, circondato da un silenzio assordante da parte della mia categoria, e, anzi, dalle solite, meschine, mezze frasi su chi possa avermi imboccato (perché, per qualcuno, deve esserci sempre un mandante, come se fossimo dei killer) o, addirittura, sulla volontà di delegittimare la magistratura. Su quest'ultimo concetto, è la mia storia a parlare a fronte di chi dava credito agli 'ndranghetisti per ignominiose campagne di stampa. In realtà credo che se delegittimazione c'è stata, quella è solo e soltanto responsabilità di chi ha detto e ha fatto determinate cose. Non di certo di chi, in coscienza e non a cuor leggero, ha deciso di raccontarle.

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Del resto, essere a conoscenza di informazioni così rilevanti e non pubblicarle, fa parte di una cultura di ricatto e dossieraggio che non mi appartiene e mai mi apparterrà. Le notizie vanno date. Le si può interpretare secondo la propria sensibilità, i propri convincimenti, purché non vengano stravolte. Ma vanno date. Io ho fatto il mio lavoro, nel miglior modo di cui sono capace. E se sulla qualità ciascuno può farsi la propria legittima opinione, ciò che non è in discussione è che io l'abbia fatto con l'onestà materiale e intellettuale con cui cerco di essere al servizio di questo territorio. Del resto, tra l'inizio del mio studio sui documenti e la scelta di pubblicarli, è trascorso parecchio tempo, proprio perché il mio intento non è mai stato quello di delegittimare il sistema giustizia. Ma, man mano che leggevo, i nomi, i casi, le circostanze, si moltiplicavano e notavo quello che ho sempre sostenuto, anche con riferimento ad altre vicende: la centralità di Reggio Calabria in dinamiche che avrebbero dovuto essere sganciate dal territorio.

E un giornalista non deve mai credere alle coincidenze.

Non l'ho fatto a cuor leggero, dicevo, perché ho sempre creduto nella Giustizia e ho sempre creduto nell'Istituzione Magistratura. Ma ho sempre creduto nel Giornalismo. E nel fatto che i cittadini debbano conoscere più cose possibili. Nulla è cambiato in me. Sono la stessa persona che, fino a qualche giorno fa era considerato uno sponsor della magistratura e oggi identificato come lo strumento della 'ndrangheta per delegittimarla. Entrambe menzogne. Ma per potersi considerare effettivamente giornalisti e, ancor prima, persone con dignità non si deve avere paura di nessuno se si è in pace con la propria coscienza, se non si ha nulla da nascondere.

Quindi continuo a credere che i cittadini meritassero di sapere chi per anni si è tolto il cappello davanti al ras del Consiglio Superiore della Magistratura, chi ha chiesto raccomandazioni, non solo per dinamiche interne alla magistratura, chi diceva determinate cose su altri valorosi colleghi, chi ha potuto godere di presunti sponsor politici. Perché bisogna essere credibili. E non si può chiedere ai semplici cittadini di prendere le distanze da determinate logiche o, addirittura, di compiere gesti talvolta eroici se non si vive in un determinato modo.

Il vero garantismo non è l'impunità invocata da politici e simpatizzanti della 'ndrangheta, ma che ogni potere possa essere controllato, in maniera corretta, da un altro.

Dalla lettura degli atti a carico di Palamara, indagato dalla Procura di Perugia per corruzione, emerge, francamente, un quadro piuttosto degradato e degradante di pezzi di magistratura. Pezzi, appunto. Non di tutta la magistratura. Quella in cui continuo a credere, perché credo che, in tutti questi anni, sia stata l'unica Istituzione a ridare un po' di dignità al popolo calabrese. Mi amareggia che dai diretti interessati non sia arrivato nemmeno un bisbiglio, uno straccio di spiegazione per difendere non tanto se stessi quanto il decoro della categoria. Paradossalmente è stato proprio chi era vittima di quel clima a intervenire, con signorilità, per mostrare che esiste anche altro. Il lavoro portato avanti in questi giorni si rivolge proprio ai magistrati onesti: perché, se è vero che in tanti contattavano Palamara, è vero anche che molti di più erano quelli che non lo facevano. Nelle chat sono presenti tanti nomi, ma tanti altri sono assenti. E nel racconto, si è dato risalto a chi di quei meccanismi avrebbe usufruito, senza trascurare chi ne sarebbe stato danneggiato.

Perchè la magistratura non è il "sistema Palamara". Non può e non deve essere il "sistema Palamara".

Si è parlato, anche a livello nazionale, delle correnti interne alla magistratura. Da quello che ho avuto modo di studiare, in realtà, credo che siamo molto oltre: l'impressione è che, più che l'appartenenza a una corrente, valesse maggiormente essere amici di Palamara o di qualche altro soggetto apicale, anche della politica, per fare carriera. Rendere pubblico un "sistema" per me significa dare giustizia e dignità a chi a quel metodo e a quei circuiti non apparteneva, a chi, magistrato onesto e capace, non è riuscito a ottenere ciò che meritava perché lontano da questi legami.

Era la cosa giusta da fare.

Ho usato lo stesso metodo, la stessa sensibilità, gli stessi criteri che uso, quotidianamente per raccontare un territorio difficile, schiacciato dallo strapotere della 'ndrangheta e dalle sue altissime complicità, umiliato da una classe dirigente e politica tra le più infime, fiaccato da difficoltà economiche. Lo faccio da anni, avendo scelto di rimanere qui, senza avere colossi finanziari alle spalle. Affrontandone le conseguenze. E, come mi ha scritto quella persona cara, è necessario fare il proprio dovere, nonostante tutto. Con la promessa, a me stesso, ai lettori e a chi è stato oggetto dei miei articoli, a chi allude a mandanti e suggeritori, ai perché di queste pubblicazioni, che su questo giornale online non ci saranno mai "intoccabili".

E' il Giornalismo. E io so farlo solo così.