Palazzo Chigi come il gioco dell’oca: mezzo passo avanti… e tanti passi indietro

salvinibastaeurodi Mario Meliadò - Basta impeachment. E senza aspettare la mobilitazione capitolina di dopodomani, primo giugno, né – 24 ore dopo – le massicce presenze partitiche a quello che solitamente è un solenne appuntamento istituzionale e di memoria, la Festa della Repubblica... Anche perché, curiosamente, a dirlo non sono i "pretoriani del Presidente", come qualcuno ha sarcasticamente ribattezzato il Pd di questi giorni difficili, ma il leader politico del Movimento Cinquestelle Luigi Di Maio.

CONTRADDIZIONI. Il nodo di tutta quest'intricata vicenda della (non) formazione del nuovo Governo centrale è forse in questo solo vocabolo: contraddizioni. A ripetizione, frenetiche. Da parte di tutti gli attori in campo.

Come si fa a dire che Cinquestelle nella sua vicenda politica non ha mai aspirato, non ha mai pubblicamente inneggiato all'uscita dell'Italia dall'area-euro, tanto più ai tempi dell'esecrata partnership con l'Ukip di Nigel Paul Farage? E anche se più di qualcuno finge di scordarsene, come si fa a dimenticare che proprio l'Ukip e Farage ottennero la Brexit, clamoroso e fin qui unico caso di un Paese europeo che ha deliberatamente abiurato la propria appartenenza all'Ue (non all'euro, perché il Regno Unito ha sempre preferito mantenere in vita la sterlina, valuta munita d'ottima salute)? Come ha facilmente evidenziato l'ex ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda, come fa Matteo Salvini, proprio Salvini!, ad affermare di non aver mai desiderato l'abbandono della moneta unica europea da parte dell'Italia, quando nel 2014 (vedi foto in alto) fece addirittura un "indimenticato" tour con slogan e magliette Basta euro? Come si fa a sostenere che Forza Italia abbia mantenuto una posizione coerente rispetto all'alleato leghista, quando fino all'ultimo ha implorato Salvini di non "sposare" la causa del Governo gialloverde, poi tramite il leader Silvio Berlusconi ha fatto sapere che visto l'impasse istituzionale non avrebbe fatto una piega malgrado il Governo Lega-M5S, quella compagine rispetto alla quale, successivamente, lo stesso ex Presidente del Consiglio dei ministri ha annunciato sfracelli e l'opposizione più intransigente, salvo esser comunque pronto il partito azzurro a riprendersi il Carroccio in coalizione di centrodestra alle prossime Politiche? Con quale credibilità potrebbe mai il Partito democratico indossare improbabili vesti da forza politica "responsabile", quando fino a poche ore fa sosteneva fosse mille volte meglio tornare prima possibile al voto (preannunciando perciò che non avrebbe certo votato la fiducia in Aula) piuttosto che consentire l'avvio di un Governo Lega-Cinquestelle, cioè delle uniche due forze politiche che obiettivamente possano dirsi vincitrici rispetto al voto del 4 marzo scorso?

E ancòra, con quale faccia il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella può affermare di aver «agevolato» e comunque «non ostacolato» la formazione del Governo dopo l'attribuzione dell'incarico a Giuseppe Conte, quando a fronte dell'insistenza delle forze politiche sul nome di uno specifico ministro ha risposto silurando i due partiti che avevano conquistato i maggiori consensi alle ultime Politiche e affidando nel giro di un'ora un nuovo improbabilissimo incarico a "mister Spending review" Carlo Cottarelli, riuscito nella fantastica impresa di arrivare a un passo dall'elencazione dei ministri pur sapendo in anticipo che né Cinquestelle, né la Lega, né il Partito democratico, né Forza Italia appoggerebbero mai la nascita del suo esecutivo, preferendo – per varie ragioni – tornare prima possibile alle urne? E come fanno i due partiti della (mancata) maggioranza governativa a farsi forti del proprio sacrosanto diritto di far nominare l'(oggi) euroscettico Paolo Savona ministro dell'Economia fino a "far saltare il banco", senza però aver provato neanche per un istante a ipotizzare l'avvicendamento dell'ex ministro del governo Ciampi un altro economista, un altro tecnico o un altro esponente politico?

"IMPICCARE" O IMPICCARSI? Anche se l'idea di "processare" il Capo dello Stato per la prima volta nella storia repubblicana tra i sostenitori della Lega e soprattutto di Cinquestelle ha molto appeal (il relativo iter può essere avviato esclusivamente per alto tradimento, ipotesi ben lontana dal comportamento di Sergio Mattarella; ovvero per attentato alla Costituzione, che è poi l'addebito mosso al Presidente in relazione alle presunte responsabilità per aver negato il lasciapassare al Governo gialloverde), come già evidenziato da qualche esponente d'area neogovernativa il punto focale sta nell'impossibilità sostanziale, per varie ragioni, di ottenere il risultato cui l'impeachment dev'essere finalizzato per sua natura: la destituzione del Capo dello Stato.

Forse una maggior prudenza avrebbe dovuto informare l'atteggiamento e le esternazioni di Di Maio che, a caldo, ha impugnato l'articolo 92 della Costituzione come una clava. Anche perché incassare il sostanziale disinteresse dell'unico alleato post-elettorale (la Lega) e poi mestamente fare dietrofront non è parso un capolavoro di tattica politica. Sentirlo dire che, ferma l'intenzione di tornare al più presto alle urne, «resta anche la disponibilità a collaborare col Presidente della Repubblica», dopo l'incitamento a metterlo in stato d'accusa e aver lanciato la campagna #IlMioVotoConta con manifestazione nazionale lo stesso giorno della Festa della Repubblica, suona quantomai grottesco.

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VOLERE POPOLARE. In giorni in cui di pseudocostituzionalisti – specie sui social network... – se ne son visti, sentiti e letti a bizzeffe, diciamo che l'aver molti ripreso in mano la nostra Carta fondamentale è uno dei pochi dati tutto sommato positivi di questa crisi.

Facili ironie a parte, non andremo a generare ulteriore noia con le pandette ma una sottolineatura la merita quantomeno l'articolo 1 della Costituzione, il cui secondo comma sancisce a lettere di fuoco il principio della sovranità popolare. «La sovranità appartiene al popolo», scandisce solennemente; senonché viene costantemente dimenticata la seconda importantissima porzione di questo secondo comma dell'art. 1, e cioè la circostanza che, questa benedetta ed evocatissima sovranità, il popolo «la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».

Limiti. Sì. Non è uno scandalo, non è una cosa strana, non è un sacrilegio: semplicemente, fanno parte dei contrappesi istituzionali.

PREVITI, MARONI, GRATTERI, SAVONA. In questa faccenda dei «limiti» s'iscrivono le prerogative del Capo dello Stato, visto che (come recita appunto l'art. 92 della Costituzione) «il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri». Il presidente del Consiglio propone, il Presidente della Repubblica nomina: per la responsabilità politica sottesa, nessun capo dello Stato avallerebbe mai un nome considerato, per un motivo o per l'altro, impresentabile. Per Savona è accaduto in relazione ai timori per le ruvide risposte del Mercato all'attribuzione dell'incarico a un economista che, da anni, non aveva fatto mistero di preferire fortemente l'uscita del nostro Paese dall'euro e magari dalla stessa Ue: in precedenza, come osservato in queste ore, era accaduto altre tre volte. Pochi però hanno notato che un fatto nuovo c'è: è la prima volta che il "niet" quirinalizio investe un dicastero diverso dal Ministero della Giustizia (negato a Cesare Previti per le frasi allucinanti con cui preannunciava che il governo Berlusconi rispetto ai magistrati non avrebbe «fatto prigionieri»; a Roberto Maroni per una delicata e molto opinabile considerazione dell'allora Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi sullo status di Maroni d'indagato per la resistenza opposta ad alcune perquisizioni effettuate nelle sedi della Lega; solo 4 anni fa a Nicola Gratteri per la circostanza, mai verificatasi prima di allora, che in questo modo sarebbe diventato Guardasigilli un magistrato nell'esercizio delle sue funzioni al momento della nomina).

HORROR VACUI. Tra le mille considerazioni simultanee che ci vengono in mente in queste ore incandescenti, difficile scacciare l'immagine di un Capo dello Stato che, posto di fronte a un presunto "diktat" sul nome di uno specifico ministro, rapidamente manda in archivio un Governo in gestazione da oltre 80 giorni. Sapendo benissimo che l'alternativa allestita in fretta e in furia produrrà solo un blando accompagnamento alle urne (o al più, a sentire le ultime dichiarazioni dei vertici pentastellati, al tentativo di rinnovare il tentativo gialloverde).

Ma l'uomo del Colle, indipendentemente dalla persona fisica che svolge pro tempore questo ruolo e dalle sensibilità che gli sono proprie, una cosa dovrebbe maturare più di ogni altra: l'horror vacui, l'impellenza di non trovarsi in ogni caso senza una compagine governativa supportata dal voto della maggioranza degli italiani, magari nel mezzo di una "tempesta" dei mercati.

PARLAMENTARI CALABRESI. E cosa dicono, anzi scrivono di tutto ciò i parlamentari leghisti e pentastellati eletti in Calabria sui social network? Vediamo alcune delle loro tante "cyber"-voci.

Francesco Sapia (deputato M5S): «Evidentemente, fare il bene della collettività e risolvere i problemi che affliggono gli italiani non viene considerata una priorità assoluta, anzi non viene considerata proprio». Attacca a testa bassa Domenico Furgiuele (deputato e coordinatore regionale della Lega): « La repubblica parlamentare italiana ha gettato la maschera, altro che democrazia, Mattarella ha fatto abortire il governo del cambiamento. In Italia non governa chi ha la maggioranza ma chi si piega, la Lega non si piegherà!». Toni analoghi rispetto al comportamento di Mattarella da parte di Francesco Forciniti (deputato M5S): « Sostenere che un governo M5S-Lega mette a rischio i risparmiatori non significa solo svestire i panni di arbitro neutrale, dando un giudizio politico del tutto soggettivo e personale, ma anche offendere e dare degli sprovveduti ai 17 milioni di cittadini che hanno votato le due forze politiche».

Sceglie l'ironia Nicola Morra (senatore M5S): « Mi domando quanti risparmiatori, clienti ed azionisti/obbligazionisti delle banche saltate, imprenditori, onesti come il povero #Bramini e via dicendo avrebbero voluto un Presidente della Repubblica così attento ai loro risparmi ed ai loro diritti...». Alessandro Melicchio (deputato M5S) si sposta su considerazioni giuridico-economiche: «Valerio Onida è professore emerito di Diritto Costituzionale alla Statale di Milano e nel 2004-2005 è stato presidente della Corte Costituzionale: "Così facendo - dichiara commentando la scelta di Mattarella - si dà ai creditori dello Stato un potere immenso, che va al di là delle obbligazioni di un debitore. Un debitore non può diventare così politicamente asservito da accettare ingerenza sulla maggioranza. In questo caso mi sembra sia andato un po' troppo oltre"». «Il Presidente della Repubblica non si può permettere – tuona Riccardo Tucci, deputato M5S – di dare in nessun modo un indirizzo politico al governo, bloccare il nome del ministro dell'economia significa tentare di fare proprio l'unica cosa che non poteva fare.
Con la scelta di oggi il presidente della repubblica ha punito il "reato d'opinione": mai successo!», e soprattutto, «come si permette il Presidente della Repubblica a dar più peso allo spread che alla volontà popolare?». Torna sulla volontà del popolo Elisabetta Barbuto (deputata M5S): «Grazie Presidente Mattarella. Mi potrebbe spiegare il concetto di sovranità popolare, oppure debbo telefonare in Germania per avere spiegazioni? ».

SPREAD. Al netto della "galleria degli orrori" che i politici nazionali d'ogni colore ci hanno esibito fino al mancato avvento del governo Conte, varie altre riflessioni sono alimentate da quanto è accaduto dopo. Per esempio, la "poetica dello spread": il differenziale di rendimento tra i Bund tedeschi e i nostri Buoni del Tesoro pluriennali, si disse, è "esploso" sopra quota 200 a testimonianza di come i mercati avvertano in modo venefico l'eventualità che un'Italia farcita di debito pubblico possa tendere a emulsionarsi dall'Unione europea e dai relativi vincoli. Be', nel frattempo lo spread è già riuscito a volare ben oltre quota 300, salendo marcatamente proprio mentre si diffondeva la notizia dell'incarico tributato a un economista d'indiscussa affidabilità come Carlo Cottarelli: "col senno di poi", ora è proprio difficile assegnare serie responsabilità di "turbativa dei mercati" all'insistenza su Paolo Savona visto che, caduta quest'evenienza, le cose sono velocemente peggiorate.

ALLEANZE. C'è poi il nodo politico dietro l'angolo: ma la Lega con chi si schiererà, alle prossime Politiche (che, fallisse il tentativo di Cottarelli, potrebbero tenersi il 29 luglio)? Facile pensare al ritorno "indolore" nel centrodestra, specie riflettendo sulla circostanza che in varie tornate amministrative la Lega e le altre forze politiche di centrodestra (specie Forza Italia) hanno vinto presentandosi insieme e stanno tuttora governando insieme in molte Regioni e in numerosissimi Enti locali. E su un altro D-day alle porte: il 10 giugno, giorno di Comunali a loro volta di peso in vari centri nei quali, ancòra una volta, il Carroccio farà parte del "cartello" elettorale del centrodestra. Recidere questo legame profondo a favore di un ulteriore e più radicato esperimento governativo Lega-M5S non sarà facilissimo.

Chiaro che anche questo scenario ha evidenti ricadute locali: anche solo immaginare i supporter di Cinquestelle promuovere il voto per i sovranisti post-scopellitiani appare particolarmente arduo.

SONDAGGI. E poi, Matteo Salvini non potrà non operare una valutazione legata alla segmentazione dei sondaggi d'opinione che in queste ore impazzano e, invariabilmente, preconizzano una crescita impetuosa dei suffragi leghisti. Sì, ma con quale offerta elettorale?

I lumbàrd egemonizzerebbero il centrodestra, contendendo a Cinquestelle la palma del primo partito in assoluto, ma solo presentandosi all'elettorato insieme a Forza Italia e Fratelli d'Italia, appunto. Forze politiche che, con tutto il buonismo di questo mondo..., inevitabilmente vorranno però "blindarsi" dalla riproposizione dello schema che alla vittoria elettorale di coalizione veda assurgere a responsabilità di governo la sola Lega con una forza politica tra quelle più esecrate, in particolare, dai berlusconiani. Per non parlare di Giorgia Meloni, che già durante la scorsa campagna elettorale, a dispetto di un Rosatellum che per natura faceva prevedere alleanze post-elettorali e la parlamentarizzazione delle esigenze di governabilità, aveva tentato di ottenere un impegno forte "anti-inciucio" da parte degli alleati: con quale spirito potrà rimettersi accanto a Salvini questa volta, dopo il (fallito) connubio governativo tra Carroccio e Cinquestelle? E d'altro canto, anche volendo optare per la svolta che sembrerebbe ormai nelle cose (Lega fuori dal centrodestra e, invece, insieme al Movimento Cinquestelle), quanti voti costerebbe ai leghisti una scelta del genere? Del resto, Beppe Grillo & C. non accetterebbero di creare una coalizione con la Lega, né con qualsiasi altra forza politica; pena pagarne un probabile forte scotto elettorale.