Il “Modello Reggio” era illegale: ora la città faccia i conti con le proprie colpe

scopellitigiuseppe 500altradi Claudio Cordova - Avere avuto per alcuni anni un procuratore della Repubblica come Giuseppe Pignatone dovrebbe essere considerato dai reggini un privilegio simile a quello di un tifoso di una media squadra come l'Udinese, che negli anni '80 ebbe la fortuna di avere nei propri ranghi un fuoriclasse come Zico. Invece per anni (e tuttora) ignoranti e delinquenti hanno alimentato la vulgata: Giuseppe Scopelliti sarebbe stato "coperto" sotto il profilo giudiziario (e non si sa bene con quale contraccambio) proprio negli anni di Pignatone a Reggio Calabria. Oggi, gli stessi che esultano per la condanna definitiva dell'ex sindaco della città dello Stretto dimenticano che la fine anticipata del mandato alla Regione di Scopelliti e, da ieri, la sua condanna in Cassazione, sono frutto di un'indagine condotta proprio dalla Procura di Reggio Calabria, negli anni del presunto "accurduni". Un'inchiesta che ha retto in tutti i gradi di giudizio e che non porta la firma di pubblici ministeri scortati a caccia dei sistemi criminali, ma di tre magistrati meno inclini alle telecamere: Ottavio Sferlazza, Francesco Tripodi e Sara Ombra.

La condanna definitiva di Scopelliti deve servire anche a questo: a ristabilire la verità.

Non c'è gioia nell'apprendere la condanna di un uomo che – verosimilmente – ora dovrà varcare le porte del carcere. Non c'era gioia nel raccontare le condotte di un politico che ha avuto per un periodo non breve Reggio Calabria e la Calabria come suo feudo. Non c'era sete di giustizialismo. C'era sete di giustizia. Perché gli anni del "Modello Reggio" non vanno dimenticati: non vanno dimenticati gli sprechi, non vanno dimenticati i presunti collegamenti con la 'ndrangheta, non va dimenticato, soprattutto, l'aspetto culturale che c'era di fondo, ossia la convinzione che conoscendo la persona giusta tutto fosse permesso.

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Il "Modello Reggio" era illegale e questo nessuno può più negarlo. Non può essere accettata alcuna forma di revisionismo su una stagione politica che ormai deve rappresentare una pagina buia della storia della città.

Però, chi oggi esulta per la caduta di Scopelliti, anche attraverso i social, è un piccolo uomo o una piccola donna, al pari di chi continua a difendere l'indifendibile. La giustizia, quella vera, non è una partita di calcio in cui considerare la condanna di un nemico o l'assoluzione di un amico come un gol o un rigore parato. La giustizia è qualcosa che va ben oltre toghe e scartoffie. Ne siamo convinti: una persona onesta difficilmente può stimare – soprattutto oggi – Scopelliti, ma rifiutiamo la barbarie dei "caroselli" per il dramma di un uomo, che è anche un marito e un padre. D'altro canto, è moralmente mafioso chi continua a contestare la legge, a denigrare tre sentenze di condanna sostanzialmente conformi, a insultare un potere dello Stato come la magistratura. Non c'è da sorprendersi. Del resto, se la neo presidente del Senato parlava di "sentenze politiche" nei confronti di Berlusconi o sosteneva pubblicamente che Ruby fosse la nipote di Mubarak, cosa ci può aspettare da un più o meno folto gruppo di decerebrati che senza Facebook sarebbero nell'oblio che meritano?

Quel gruppo di ignoranti (alcuni dei quali fisicamente accanto a Scopelliti, anche in queste difficili ore) rappresenta una delle cause maggiori della disfatta dell'ex sindaco di Reggio Calabria. Approfittatori, consiglieri fraudolenti che hanno vissuto all'ombra e sulle spalle di Scopelliti, indirizzandolo spesso verso la parte sbagliata. Sono tanti gli errori politici commessi. Ma anche enormi gli errori strategici, nella propria difesa. A cominciare dal processo di primo grado, snobbato dall'allora governatore per tutta la durata del dibattimento, con l'unica eccezione dell'arrogante deposizione resa al cospetto del Tribunale. E poi, la pretesa di voler ancora indirizzare le sorti politiche di Reggio Calabria e della Calabria. Fino allo scorso 4 marzo e quindi a un mese esatto dall'udienza in Cassazione, con l'abile regia messa in piedi per permettere alla Lega di Matteo Salvini di sfondare in Calabria. Avrebbe dovuto mantenere un profilo umile e basso, Scopelliti. Forse avrebbe dovuto anche lasciare Reggio Calabria, nell'attesa del giudizio. Nessuno l'avrebbe chiamata vigliaccheria. Semmai dignità.

Con le porte del carcere dietro le spalle di Scopelliti, deve chiudersi anche la stagione di tutto ciò che lui ha rappresentato. Devono scomparire dalla scena pubblica tutti i suoi seguaci, devono tacere i lacchè, devono purgare le proprie responsabilità morali con scuse pubbliche i tanti professionisti che si sono prostituiti al "Modello Reggio" per ottenere incarichi e prebende. Del resto, sarebbe sciocco credere che il 70% ottenuto da Scopelliti nelle elezioni 2007 fosse tutto frutto di voti "sporchi". Una fetta considerevole di chi si considera persona perbene non ha saputo fare muro di fronte all'avanzata scopellitiana. Per questo la città, attualmente nelle incapaci mani di Giuseppe Falcomatà, deve fare i conti con un passato che in parte è anche presente, ma che non deve essere assolutamente futuro.

Scopelliti, sic transit gloria mundi. Ma nuovi potenziali Scopelliti si sono affacciati e si affacciano sulla scena pubblica: ai reggini il compito di smettere di essere sudditi, diventando finalmente cittadini.