Legalità, imprese, voto e battaglie future

tribunale15aprdi Mario Meliadò - «Come per il fascismo, ormai vale anche per la mafia l'antico detto secondo il quale la mafia si divide in due tronconi: la mafia e l'antimafia». Questa frase "bellissima e terribile" dell'imprenditore Andrea Cuzzocrea – potrebbe essere il magnifico prologo a un saggio sui tempi di chiaroscuri in cui viviamo – pronunciata nel contesto della presentazione del nuovo «soggetto politico-culturale» Mezzogiorno in Movimento è, a sua volta, una contraddizione figlia di patenti contraddizioni.

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Pensiamo sia il caso di occuparcene.

A – Il garantismo, la cultura garantista, sono degli elementi preziosi in una Democrazia compiuta.

Con tutto il rispetto per i cittadini in quanto tali, si sa che non l'individuo quale essere pensante, ma il popolo fatto massa critica e indistintamente considerato da almeno duemila anni a questa parte "sceglie Barabba". Non sempre; spesso, però. Molto spesso.

E allora, è chiaro che i famigerati «tintinnii di manette» solleticano il giacobinismo innato che almeno in parte è dentro ognuno di noi; se non in chiave prettamente e squisitamente giustizialista, quantomeno in modo naiv, alla Robin Hood... Di chi, diciamo così, poco crede alla poetica della redistribuzione egualitaria quando si trova senza bussola nel bel mezzo della foresta di Sherwood; e, scegliendo un robusto pragmatismo, preferisce l'Etica di un arciere provetto che, pur di dare ai poveri, sia ben pronto a rubare ai ricchi.

Ma sempre di furto si tratta.

Dunque, non va bene la dicotomia degregoriana che, attraverso un brano anche musicalmente da studiare a scuola, ci vellica chiedendoci «Tu da che parte stai? Stai dalla parte di chi ruba nei supermercati, o di chi li ha costruiti rubando?»: la risposta del nostro SuperIo sarà sempre, invariabilmente la stessa, di solidarietà piena ai più deboli e diseredati. Eppure (anche) rubare nei supermercati, benché per i crampi della fame, è un illecito. E, su questo terreno, lontano non si va.

B – Eventi della nostra Storia anche recente dovrebbero averci insegnato che il "salvatore della Patria" non esiste; non in termini laici, almeno.

Purtroppo rimane "di coccio" la stolida tendenza a credere che "uno" possa essere artefice della salvezza dei molti sul piano politico-civile: è la stessa terrificante credenza alla base di tutti i totalitarismi, senza bisogno di scomodare i (relativamente) recenti incubi di Tangentopoli, "Mani Pulite" e di certi rispettivi epigoni spesso sballati.

Ecco perché il germe del garantismo ci fa crescere tutti: perché senza bisogno d'attendere il Mahdi o se preferite il Baqiyatullah islamico («...egli inizierà allora la sua marcia vittoriosa e libererà il mondo dalla miscredenza e dall'oppressione instaurando un reggimento di giustizia e d'armonia...»), ci indica piuttosto la via della nostra Costituzione, ci addita la via dei diritti e del rispetto pieno dell'individuo.

Soprattutto, torna a suggerirci la strada che collettivamente noi italiani in particolare abbiamo smarrito: si è innocenti fino a eventuale condanna in terzo grado di giudizio. Tutti, però: tutti, non qualcuno in particolare e altri no (se vale per il politico accusato d'aver rubato deve valere anche per l'extracomunitario accusato d'aver ucciso, se vale per il presunto artefice di giganteschi falsi in bilancio deve valere anche per il presunto "bullo" di quartiere).

C – La funzione storica di chi s'è interrogato, di chi tuttora s'interroga in materia è vivificante e preziosa. Su tutti, pensiamo ai socialisti: sinceramente non siamo proprio tra i nostalgici delle rimpatriate "della memoria" ad Hammamet, ma che il Psi di un tempo e moltissimi tra i socialisti "della diaspora" abbiano dato linfa alla brechtiana "lode del dubbio" è una cosa solo positiva. Anche perché l'Italia, lo ripetiamo, e l'Italia dell'informazione in particolare – non è un mistero –, tende a far circolare a velocità fotonica le notizie su arresti e sputtanamenti vari e a sistemare un pietoso velo su archiviazioni, proscioglimenti, riabilitazioni... Ci riferiamo alla famosa «narrazione» di cui cultori del garantismo vecchi e nuovi ci hanno parlato in queste ore.

In più, il malfunzionamento della Giustizia italiana ci costa carissimo.

No, che avete capito? Non è (solo) una metafora. "Ci costa" nel senso che, mentre leggete questo corsivo, già il vostro conto corrente si sta assottigliando un pochino per via delle "manette facili"... Nel 2017, per i 1.013 casi tra errori giudiziari e ingiusta detenzione, lo Stato italiano ha corrisposto oltre 34 milioni di euro a titolo di risarcimento; e la città in cui la Giustizia è stata più "sbertucciata" non è un anfratto della Val Trompia, ma Catanzaro (158 casi su 1.103, ossia il 15,6% del totale nazionale). E tanto per tornare al fatidico anno di "Mani Pulite", dal '92 a oggi hanno subìto un periodo d'ingiusta detenzione 26.412 persone: per capirci, il doppio della popolazione di tutta Villa San Giovanni, poco meno di tutti i residenti di Vibo Valentia...

D – Non c'era probabilmente bisogno che nascesse un nuovo movimento politico, sociale, culturale per rendersi conto di alcuni macro-effetti distorsivi collegati a certe mega-"retate" (vedi sopra); a Enti sciolti per infiltrazioni mafiose sulla base di una normativa che definire "dai confini applicativi incerti" è un regalo; a interdittive "a pioggia" e rispetto alle quali francamente non si capisce per quale motivo le imprese calabresi ritenute in mano alla criminalità organizzata vengano falcidiate e quelle campane o siciliane possano invece restare in piedi, in territori che malauguratamente non ci paiono esenti dalla morsa delle cosche (anzi).

Nell'ottobre scorso, la Prefettura di Reggio Calabria fece sapere che erano ormai 130 le interdittive disposte negli ultimi 14 mesi (cioè dall'insediamento a Palazzo del Governo del prefetto Michele di Bari). E del resto, quest'iperfetazione (o no? In realtà, sappiamo tutti quale "potenza di fuoco" abbia la 'ndrangheta...) ha provocato anche una ridda di ricorsi: esclusivamente per le interdittive, il Tar calabrese ci ha ricordato pochissimi giorni fa, all'inaugurazione dell'anno giudiziario del Tribunale amministrativo regionale della Calabria, che sono stati innescati 39 ricorsi solo nel 2017, anno durante il quale sono state definite 62 pendenze dello stesso tipo. Più che in ogni altro territorio della penisola: «Questa è una peculiarità calabrese», ha ammesso un po' sconfortato il presidente del Tar della Calabria Vincenzo Salamone.

Ma è proprio il meccanismo dell'interdittiva (e del post-interdittiva) a lasciare profondamente, profondamente perplessi.

Se un imprenditore è mafioso o "amico degli amici", perché deve andarne di mezzo il posto di un lavoratore (a differenza di lui) onesto? E poi, scendendo dal generale al particolare, era il 28 luglio del 2016 quando vennero apposti i sigilli al Sireneuse – locale sempre distintosi per qualità della produzione e cortesia del personale – e soprattutto al bar interno degli Ospedali Riuniti. Ecco, pensate anche solo ai Riuniti, hub ospedaliero (non l'abbiamo detto noi, che gli altri nosocomi sono spoke, sempre che non vengano chiusi... giusto?) che serve un bacino provinciale di 560mila utenti, su cui gravitano quotidianamente migliaia di persone tra medici, infermieri, personale amministrativo, pazienti, familiari e amici dei degenti... Mentre aspettiamo che la Sanità calabrese diventi migliore di quella lombarda, da oltre un anno e mezzo una realtà del genere è diventata il tempio dell'Horeca (dei distributori automatici, insomma) e non ha neanche un bar al suo interno. Com'è pensabile che sancire la legalità significhi, simultaneamente, condannare a disagi infiniti una marea di persone in un luogo simbolo della (da noi, scarsa) qualità della vita?

Anche per questo, il nuovo istituto del controllo giudiziario – fresco di prima applicazione – sta registrando una pluralità d'istanze che potrebbe contribuire a una pur parziale soluzione delle ricadute negative delle interdittive per l'economia, l'occupazione e gli standard di vita a queste latitudini.

E – Una diffusione critica e capillare della cultura del garantismo, insomma, di per sé ci convince e appare necessaria.

Ma era altrettanto necessaria, o almeno: era utile e opportuna, la nascita di un movimento politico sotto queste specifiche insegne nel bel mezzo di una delle più noiose e insignificanti campagne elettorali per il rinnovo delle Camere dell'intera storia repubblicana?

Ecco, secondo noi no.

Anzi: andava assolutamente evitata.

F – Ogni "fiocco azzurro" (movimento, partito) o "fiocco rosa" (associazione) che dir si voglia è il benvenuto, per carità.

Ma, forse è la memoria a tradirci, a noi pare tuttavia che questa sia forse la prima campagna elettorale per le elezioni politiche in cui il vero, grande problema della Calabria sta rimanendo assolutamente sottotraccia: l'assoluta, disperata necessità di legalità.

Le istanze che guardano ai diritti della persona e della libera impresa, lo ribadiamo una volta ancòra ove ce ne fossero dubbi, sono sacrosante. Ma su scala aggregata rappresentano a nostro avviso un problema infinitamente minore rispetto al Problema dei Problemi: la presenza capillare, asfissiante di una 'ndrangheta maledetta che ci sta assassinando, ogni giorno che passa.

Una 'ndrangheta che ammorba i nostri figli, strizza illegalmente le nostre aziende, fa della Calabria il fulcro del narcotraffico e dunque dei mercanti di morte su scala mondiale, condiziona al ribasso il numero dei posti di lavoro e le condizioni salariali, decide chi dev'essere assunto e chi no in moltissime situazioni ovviamente stuprando qualsiasi forma di meritocrazia, condiziona pesantemente persino alcuni àmbiti della religiosità, mette le valigie in mano alle nuove generazioni che di decennio in decennio sempre di più sono costrette a scappare dalla Calabria per poter affermare onestamente la propria professionalità, costringe sovente a realizzare infrastrutture con materiali depotenziati sulla cui stabilità nessuno scommetterebbe un centesimo di euro, seppellisce veleni indicibili a pochi metri dai nostri fiumi e sotto il terreno in cui vengono allevati gli animali e coltivati gli ortaggi di cui ci cibiamo, sceglie per noi chi ci rappresenterà nelle varie Istituzioni (compresa, con ogni probabilità, anche parte della deputazione calabrese che uscirà dalle urne il 4 marzo prossimo).

Inquina le coscienze.

Non restituisce ai cittadini la percezione che essere pure soltanto conniventi con la criminalità organizzata o anche solo piegarsi alle sue illegittime e criminali richieste è la più grande vergogna che possa esistere al mondo e ha ricadute perenni sulle vite dei diretti interessati e anche sulle nostre.

G – ...Esattamente, cosa dovrebbe fare di più la 'ndrangheta per essere considerata da tutti il Male assoluto?

Noi, sinceramente, pensiamo che possa anche bastare così.

Per questo, nel pieno rispetto di ogni pensiero di segno diverso, riteniamo che sia stato un errore madornale varare un movimento che fondamentalmente chiede più cautela negli arresti e nelle interdittive antimafia e una legislazione diversa (che pure è indispensabile, ribadiamo anche questo) riguardo agli scioglimenti per mafia degli Enti nel cuore di una campagna elettorale in cui il contrasto alla criminalità organizzata, invece, sembra essere avvolto dal mantello dell'Uomo Invisibile. Una raccolta-voti che invece di sfoggiare contenuti dirompenti, foss'anche solo per fare ammenda rispetto all'intollerabile furto di Democrazia rappresentato dall'ennesima legge elettorale che espropria la cittadinanza della possibilità di scegliere in proprio ('ndrine permettendo...) i propri rappresentanti, di fatto ha messo e sta mettendo il silenziatore a quello che in Calabria dovrebbe essere il tema fondamentale, cioè il contrasto alla criminalità organizzata che tutto sporca - anche quello che in realtà, di suo, sporco non sarebbe –, infestando la nostra società di una mentalità mafiosa, di una subcultura 'ndranghetistica, di un sostrato d'illegalità diffusa (basti pensare soltanto alle assurdità che riguardano economia e mercato del lavoro da queste parti), di una forsennata ricerca del "particulare" nella gestione della cosa pubblica assolutamente intollerabili.

H – Dal 5 marzo in avanti si potrà riparlare con serenità di quell'iniezione di garantismo che fa crescere in cultura, diritti e consapevolezza ogni società, a maggior ragione inclusa la nostra. Per il momento, però, noi preferiamo di gran lunga citare, ricitare, e poi citare ancòra le sante (in tutti i sensi) parole di monsignor Francesco Oliva, il vescovo della diocesi Locri-Gerace: «Non un voto ai corrotti e ai mafiosi».

Nel pieno della campagna elettorale, pensiamo che in tema di legalità il pensiero debba andare prevalentemente, se non esclusivamente, alla ricerca collettiva, e trasversale rispetto a tutte le forze politiche e partitiche, di quest'obiettivo etico.

Siete tutti in grado di dirlo insieme a noi? Non è difficile.

Non un voto, non un singolo voto ai corrotti e ai mafiosi.

Ora.

Non la prossima volta: ora.

I – Una postilla invece, riguardo a Mezzogiorno in Movimento, vogliamo dedicarla a parte a un dettaglio, che ai più sarà forse sembrato poco significativo: l'orgogliosa decisione di alcuni, inclusi alcuni rappresentanti istituzionali liberamente eletti dai cittadini, di non avallare un'iniziativa come il Registro di Cittadinanza attiva custodito in Prefettura, più noto per lo slogan a supporto "Una firma contro la 'ndrangheta".

Solo "passerella" e presenzialismo, si dirà. E le foto davvero hanno inondato i media, eh.

Non ogni iniziativa promossa o sponsorizzata dai pur valentissimi magistrati della Direzione distrettuale antimafia è di per sé sacrosanta o immune alle critiche, si dirà. E qui al Dispaccio.it non crediamo, in effetti, che alcun essere vivente sia depositario di Verità rivelate.

...Però vogliamo ricordare che la mafia non si nutre solo di denaro (sporco come lei), ma anche di Simboli.

È così da sempre: fin dai tempi di Joe Petrosino o del "prefetto di ferro" Cesare Mori, per le organizzazioni malavitose la dimostrazione plateale della propria potenza era molto più importante della propria effettiva forza. Così come oggi i clan considerano infinitamente più pregnante soggiogare tutte le imprese che vengono loro a tiro con la legge del "pizzo", per imporre un'indebita obbedienza generalizzata alla cultura della violenza e del "più forte", rispetto agli effettivi introiti che ne traggono. Così come ai tempi della "mafia stragista", e torniamo sempre al '92, l'allora zelantissimo avvocato del "Capo dei capi" Totò Riina tenne addirittura una conferenza stampa, pur di mandare a dire che il suo assistito – che sarebbe stato arrestato solo il 15 gennaio dell'anno successivo – era vivo e si trovava in Sicilia, mediante un "messaggio criptato" che ha fatto storia (con la "s", in questo caso, decisamente piccola piccola).

In questo contesto, liberi tutti di firmare o non firmare, di avallare o meno un'iniziativa evidentemente solo simbolica (ricordiamo sempre che il Codice Etico del Consiglio regionale fu firmato anche da consiglieri regionali poi arrestati per associazione mafiosa, per cui...). Ma in tempi di guerra, e con la 'ndrangheta non può che essere guerra qui in Calabria, ognuno combatte con le armi che ha. Per il mondo che alla mafia non appartiene e neanche le strizza l'occhio, i Simboli socializzati rimangono dunque un baluardo formidabile.

Anche perché, per dirla con Carl Gustav Jung, «se è segno, la parola non significa nulla. Se invece è simbolo, significa tutto».

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