Un fatto è un fatto...

Giornalismo1di Claudio Cordova e Mario Meliadò - Uno dei problemi che chi fa il giornalista o, per essere pratici, "dà notizie", deve affrontare quotidianamente è quello di tutelare la propria attività, spesso scopiazzata qua e là, anche da firme e testate prestigiose. Riconoscere scoop e, quindi, meriti, è attività che sempre più raramente, purtroppo, gli operatori dell'informazione riservano ad altri operatori dell'informazione. E', quindi, insolita (rectius, inspiegabile) la presa di posizione dell'attivista antimafia Giulio Cavalli e del periodico Left, di fronte alla correttezza (o alla cortesia) utilizzata dal Messaggero.it, il sito web di uno dei maggiori quotidiani italiani.

La testata capitolina, infatti, nel riportare la notizia dell'arresto dell'allenatore Natale Iannì, assurto nuovamente alle cronache nelle ultime settimane per essere tornato in panca nel campionato dilettantistico, nonostante la propria condanna (non definitiva) in un procedimento di 'ndrangheta, tra le persone che si sono occupate del caso cita appunto anche Giulio Cavalli.

Si parla di giornalismo. Verrebbe da chiedersi, allora: dov'è la notizia?

La notizia è che l'attore-attivista (supportato da Left) non la prende bene e, attraverso i social, accusa "Il Messaggero" di aver indicato un bersaglio, citando il suo nome. Quasi come se l'articolo fosse eterodiretto da ambienti vicini alle cosche e che, quindi, si volesse attribuire la responsabilità dell'arresto di Iannì a Cavalli e ai suoi scritti.

Grottesco.

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Per molteplici motivi: Cavalli, infatti, è solo uno (e non il primo, peraltro) a essersi occupato del caso. E se è innegabile che l'eco alzatasi sul caso Iannì a livello mediatico possa avere avuto il proprio innegabile peso sulla storia, non si può tacere il fatto che la vicenda sia stata raccontata ampiamente dagli organi di stampa locali, quelli che – va ricordato – vivono il territorio, frequentano, giocoforza, le stesse strade e gli stessi luoghi dei protagonisti dei propri articoli. Se, dunque, Cavalli (iper-attenzionato per via delle numerose minacce ricevute) si sente un bersaglio, come dovrebbero sentirsi i tanti cronisti che respirano la stessa polvere di boss e picciotti, nel silenzio della grande stampa, di destra, di sinistra e di centro?

L'uscita di Cavalli tradisce, chiaramente, un certo narcisismo che attanaglia chi si occupa di temi legati alla criminalità organizzata: essere convinti, cioè, di essere dei Don Chisciotte, impavidi, ma soli, pronti a essere accoppati da un momento all'altro. Tradisce, però, anche insipienza rispetto al tema "mafie", dato che, sempre più raramente la criminalità organizzata (e praticamente mai per notizie note, come quella di Iannì) colpisce in maniera muscolare, ma, anzi, usando armi viscide e subdole: la delegittimazione e l'isolamento.

Cavalli non subisce tutto ciò, dato che di lui se ne parla – giustamente – in maniera costante. Anche per questo, "il Messaggero" aveva citato Cavalli: per mettere in rilievo come una vicenda assolutamente locale avesse richiamato attenzione pure su scala nazionale. Perché, è bene chiarire: chiunque parla di criminalità organizzata e contribuisce, quindi, a distruggere quel "cono d'ombra informativo" che avvolge le tematiche che riguardano la 'ndrangheta è per noi un "amico della Calabria", che potrà affrancarsi da determinate logiche solo quando sarà divenuta, realmente, un caso nazionale. E, però, va anche detto, con altrettanta forza, che il "caso Cavalli" , ripropone il grande tema sulla professione, che, spesso, purtroppo, genera mostri. Il narcisismo, il leaderismo, il culto della personalità mai hanno contribuito a migliorare ambiti professionali e contesti territoriali.

Il giornalista non è un "cavaliere a cavallo".

Negli ultimi anni di questa professione è cambiato tutto, pressoché nel silenzio generale: composizione "a freddo", frammentazione delle platee di riferimento, convergenza multimediale, proliferazione di canali di distribuzione delle notizie prima del tutto sconosciuti come i siti d'informazione, i mille blog e gli stessi social network, velocità nella diffusione considerata valore fondante più della veridicità e del paziente riscontro, sintesi privilegiata alla stessa intelligibilità di quanto detto o scritto, disseminazione esasperante delle fake news. Al netto di questi e di svariati altri fattori, del giornalismo oggi rimane probabilmente quel che "bot" e "seo" non possono e non potranno mai sostituire: "il capitale umano", direbbe Stephen Amidon (e molti altri prima di lui), il valore aggiunto costituito dalla conoscenza e dall'esperienza filtrate da padronanza della lingua e degli attrezzi del mestiere, nella prima fase nella storia del giornalismo in cui un esercito di cronisti è quasi costretto a non usurare le suole delle proprie scarpe.

«Le intenzioni, specialmente se buone, e i rimorsi, specialmente se giusti, ognuno, dentro di sé, può giocarseli come vuole, fino alla disintegrazione, alla follia. Ma un fatto è un fatto – scriveva Leonardo Sciascia –: non ha contraddizioni, non ha ambiguità, non contiene il diverso e il contrario». Tuttavia la realtà magistralmente compressa, sintetizzata dall'autore di "Todo Modo", a guardarla bene e da vicino, è assai più complessa.

Capitoli come la tematizzazione e l'agenda setting ci illustrano alla perfezione che, se «un fatto è un fatto», a monte esistono tutti i mille rivoli in grado di far assurgere o meno un "fatto" a rango d'effettiva notizia e di determinare in quale forma. Dopotutto, se ripensiamo a un unico evento (che per molti aspetti, a queste latitudini, è stato anche un "evento unico") come la riunione del G7 svoltasi a Taormina, i mezzi di comunicazione internazionale l'hanno approfondita rispetto alla sezione esteri, i giornali generalisti italiani ne hanno parlato parecchio in termini di politica interna, i media collegati al turismo hanno sviscerato le immense potenzialità della Sicilia in chiave internazionale, gli organi di stampa del segmento food non hanno mancato d'esaltare la "ricciola lisciata all'olio di cenere" di chef Pino Cuttaia destinata ai palati dei Potenti... E se ieri già era ritenuto uno «storico dell'istante» (credits: Umberto Eco), angoscia pensare a cosa possa essere considerato un giornalista oggi, visto che il "fatto" di cinque minuti fa ha grandi probabilità di risultare diverso dai suoi contorni, nelle sue declinazioni, nelle sue ricadute già nei prossimi cinque minuti.

Anche questo dovrebbe dunque farci riflettere a dovere: rispetto a un qualsiasi accadimento non esiste un'incontrovertibile Verità neppure a fronte di elementi certi, o almeno "estremamente probabili" e oggetto di forsennate, scrupolose verifiche.

Ce n'è abbastanza per fermarsi prima di lanciarsi in affermazioni apodittiche, incontrastabili o presunte tali: meglio annusare l'odore degli altri, cercare un frammento di valutazione in più.

Che poi, da sempre è anche la via maestra per esercitare il giornalismo in ognuna delle mille declinazioni che oggi vediamo in giro.