Il “cono d’ombra informativo” sulla condanna al magistrato Alberto Cisterna

cisterna alberto600nuovdi Claudio Cordova - Gli ultimi due giorni sono stati importanti per la Calabria sotto il profilo giudiziario. L'operazione della Dda di Catanzaro sulla potente cosca Giampà di Lamezia Terme, la cattura del boss latitante Pantaleone Mancuso, le condanne per gli omicidi di Gianluca Congiusta e Fabrizio Pioli, vittime innocenti della 'ndrangheta e della mentalità mafiosa.

Ma non solo.

Il Tribunale Monocratico di Reggio Calabria ha condannato a un anno di reclusione (con la sospensione della pena) il magistrato Alberto Cisterna per falso, avendo egli attestato in maniera non veritiera di aver svolto lezioni presso l'Università Mediterranea, di cui era docente esterno, quando, invece, si sarebbe trovato altrove. Cisterna è un magistrato molto noto a Reggio Calabria, ma non solo. Era vice procuratore nazionale antimafia quando fu travolto dall'affaire Lo Giudice. Il magistrato Cisterna sarà indagato per corruzione in atti giudiziari sulla scorta delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice. Un'accusa che verrà archiviata su esplicita richiesta della Dda di Reggio Calabria, ma che costerà a Cisterna il trasferimento dalla Dna al ruolo di giudice civile presso il Tribunale di Tivoli. Verrà poi indagato e assolto, anche in Appello, per il reato di calunnia nei confronti dell'allora dirigente della Squadra Mobile di Reggio Calabria, Luigi Silipo. In quella sede, Cisterna rispondeva per un esposto presentato nei confronti di Silipo, redattore di un'informativa sui presunti contatti tra l'ex numero due della Direzione Nazionale Antimafia e Luciano Lo Giudice, considerato l'anima imprenditoriale dell'omonima cosca di 'ndrangheta.

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La condanna di un magistrato della Repubblica Italiana è sempre una notizia. Lo è ancor di più, però, se non si parla di un magistrato qualunque, ma di un togato che, prima di essere travolto dallo scandalo, aveva una carriera lanciatissima. Sebbene in più parti d'Italia – Consiglio Superiore della Magistratura compreso - Cisterna abbia visto frustrate le proprie doglianze, qualcuno continua a considerare l'ex numero due della DNA un perseguitato della Procura della Repubblica di Reggio Calabria.

Ma raccontare i fatti è nostro compito anche perché essi contribuiscono alla formazione di un'opinione pubblica. E la condanna in primo grado è un fatto.

Ebbene, provate a ricercare la notizia su internet, anche stamattina a distanza di molte ore dalla pronuncia del giudice Valeria Fedele. Troverete solo l'articolo del Dispaccio e quello del Quotidiano del Sud, unico organo di stampa, insieme alla Gazzetta del Sud sull'edizione cartacea odierna, a dare menzione di una notizia che in qualsiasi altra parte del mondo sarebbe considerata tale.

Una Notizia.

E invece, la quasi totalità del web ignora il fatto, per motivi oggettivamente oscuri. Sia gli organi di informazione più istituzionali, sia quelli che si glorificano della propria indipendenza e del proprio (presunto) giornalismo d'inchiesta tacciono. E nemmeno le agenzie di stampa hanno inteso "lanciare" in maniera asettica la notizia. Sia chiaro: la notizia della condanna di primo grado nei confronti di Cisterna non è uno scoop del Dispaccio. Non ci stiamo vantando di nulla, abbiamo, semplicemente, anzi, banalmente, svolto l'abc dell'attività di cronisti: Cisterna è stato condannato all'esito di un processo pubblico, di cui, va detto, siamo stati sostanzialmente gli unici a dare menzione nel corso degli anni (compresa la requisitoria dell'accusa, di cui nessuno ha dato menzione). Un processo pubblico e complesso, in cui non sono mancati i colpi di scena, le insinuazioni, da parte dell'imputato Cisterna, nei confronti di suoi colleghi assai valorosi come il procuratore Federico Cafiero De Raho, solo per citarne uno. Non sono mancate le notizie, appunto. Raccontare i processi può essere una scelta editoriale, ma le pronunce dei tribunali devono essere assolutamente rese pubbliche, anche per prevenire potenziali abusi.

Pensate cosa accadrebbe se non si spiegasse più ai cittadini l'attività della magistratura: la gente potrebbe essere arrestata e condannata senza un valido motivo. Roba da regimi dittatoriali del Sud America. Per questo il caso Cisterna è una notizia. Perché il magistrato è stato condannato a un anno di reclusione con una sentenza pubblica, proclamata "in nome del popolo italiano".

Quello stesso "popolo italiano" che Cisterna dovrebbe servire e che noi giornalisti dovremmo informare.

E il tema è proprio questo: come può essere credibile gran parte della stampa calabrese che non considera una "notizia" (o che la oscura deliberatamente) la condanna in primo grado di un magistrato del calibro di Cisterna? Un magistrato punito per falso, che per il proprio ruolo a Tivoli decide ancora del destino e della libertà di altri cittadini.

Non si offenda, Cisterna, se in questo articolo si menziona l'azzeccatissima definizione di "cono d'ombra informativo", coniata dall'allora procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, per esplicitare come in Calabria possano passare sotto traccia, senza acquisire notiziabilità, notizie che altrove avrebbero ben altra ribalta. Notizie come la condanna per falso di un magistrato in servizio non trovano nemmeno un trafiletto sulle testate nazionali, che invece dedicano spazio a notizie meno importanti, provenienti da altri territori. Una comunità può crescere solo se correttamente informata. Ma sul caso Cisterna, per tanti colleghi i cittadini non devono sapere.

Con ingenuità, continuiamo ancora a chiederci perché.

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