I pentiti Russo e Mantella: "Lico vicino ai Mancuso e ai Piromalli"

Pentito500di Angela Panzera - Michelino Lico, imprenditore nonché presidente della Camera di commercio di Vibo Valentia, è accusato dalla Dda Reggina "solo" del reato di intestazione fittizia di beni ma, nelle quasi duecento pagine del sequestro preventivo che ha riguardato la società Fargil e da cui emergono le contestazioni mosse a suo carico e per gli altri venti indagati dell'inchiesta condotta dai Carabinieri reggini, una parte riguarda le dichiarazioni rilasciate agli inquirenti da due collaboratori di giustizia ossia Antonio Russo e Andrea Mantella. Il primo era un "truffatore di professione" gravitante nell'orbita della cosca Piromalli di Gioia Tauro, il secondo ex boss di Vibo. Quel che emerge dai verbali resi all'autorità giudiziaria sono i presunti rapporti che Lico avrebbe intrattenuto con la potente cosca Mancuso attiva a Limbadi.

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Il collaboratore di giustizia Antonio Russo ha riferito il 14 marzo del 2016 un episodio specifico ossia di essersi recato a Vibo Valentia presso la sede della società "Santo Lico srl" per ottenere l'assunzione presso la "Iam" di Enzo Giofré su incarico di Giuseppe Piromalli, classe 1921, boss storico della cosca. Il "pentito" ha riferito di essersi recato presso i locali di questa società e di aver parlato con Michelino Lico, identificato come figlio di Santo Lico che si occupa della "Iam". A Michelino Lico avrebbe ripetuto le frasi dettegli da Pino Piromalli ossia la raccomandazione di assumere Giofré e di trattarlo come se fosse suo figlio. "L'incontro, scrive il gip Tarzia, ebbe esito positivo in quanto gli fu risposto di «ritenere già fatto» e in effetti l'assunzione avvenne il giorno successivo previa acquisizione dei necessari documenti. Ecco quanto riferito alla Dda dal collaboratore Russo: " a Vibo non mi ricordo preciso la zona però vi potrei portare devo camminare un poco per trovarla, e parlai direttamente con il figlio di Lico quello che cura a Gioia Tauro la Iam. Gli dissi che lo saluta Giuseppe Piromalli e gli dissi che i Mancuso, mi dice di dirgli: che sono figli miei, gli dissi così dice questo ragazzo deve lavorare, dice che faccio la domanda e domani vediamo(...) Il giorno dopo è stato assunto a lavorare. Dice: lo ritengo già fatto, dice però non lo posso fare adesso porti i documenti domani(...) la Iam, e la Iam che vi devo dire non c'è attività a Gioia Tauro che non è sotto il controllo dei Piromalli". Per la Dda dello Stretto i riscontri, alle parole di Russo, sono " plurimi e assolutamente puntuali nel confermarle l'attendibilità. Appare inoltre assolutamente logico quindi, il racconto dello stesso collaboratore laddove ascrive a se stesso il ruolo idoneo ad essere incaricato da Pino Piromalli di spendere il proprio nome, essendo fratello del marito di una nipote del capo cosca. Appare altri giustificato l'interessamento del suddetto boss per Vincenzo Giofrè, il quale a sua volta aveva sposato un'altra sua nipote. Passando al narrato del collaboratore, la datazione dell'incontro va indicata alla fine degli anni 90, in quanto dalla consultazione della banca dati- PUNTO FISCO ed INPS in uso alle forze dell'ordine, è stato possibile accertare che il Vincenzo Giofrè, classe 1976, abbia effettivamente percepito reddito a partire dal 1998 fino al 2015, dalle società della famiglia Lico di Vibo Valentia. In particolare dal 1998 al 2008 Vincenzo Giofrè ha percepito reddito dalla società Lico Santo, questa società all'epoca dei fatti era di proprietà di Santo Lico, classe 1930, e il figlio Michelino Lico deteneva quote societarie all'interno della Iam S.p.A. Dal 2008 il 2011 lo stesso ha percepito reddito dalla Ligeam Srl di Michelino Lico. Per concludere, dal 2012 al 2015 il Vincenzo Giofrè È risultato alle dipendenze della Iam S.p.A. percependo un reddito direttamente da questa azienda". Dall'organigramma nominativo della Iam, inoltre emerge che tale Giofrè è inquadrato all'interno del compartimento con la qualifica di "addetto alle attività di pesatura rifiuti in ingresso e in uscita".

Per i presunti rapporti con la cosca Mancuso invece, è stato il collaboratore di giustizia Andrea Mantella a riferire alcune circostanze ai magistrati il 13 marzo dello scorso anno. "Michele Lico, figlio di Don Santo, ha dichiarato Mantella, ha ereditato i rapporti che il padre aveva stretto con la 'ndrangheta e con i Mancuso in particolare. Per conto di Santo Lico si può dire che io abbia dato la vita, commettendo per lui anche un tentato omicidio. Il figlio si occupa delle attività imprenditoriali che erano del padre, in particolare nel settore edilizio, impiantistico e dello smaltimento dei rifiuti. Il giovane Lico so che aveva ruolo nella camera di commercio". Sulle dichiarazioni del boss Mantella anche in questo caso il commento degli inquirenti è lapidario: "alcun dubbio può rilevarsi sull'identificazione dei soggetti menzionati dal dichiarante, dal momento che l'indagato è identificato sia dal riferimento al nome proprio, sia con riferimento al nome del proprio genitore Santo sia con riferimento alle attività imprenditoriali esercitate e addirittura a ruolo all'interno della Camera di Commercio di Vibo Valentia".